Tutto quello che è accaduto in questi giorni, l’insieme di avvenimenti, notizie, articoli, persone, ecc., sembra proprio una gran bella iniziativa divina per spingermi a meditare. Mi permetto di condividere con i miei due lettori il groviglio di sentimenti, emozioni e provocazioni, nella speranza che mi aiutino a capire ed a districare la matassa.
Riparto da dove, più o meno, c’eravamo lasciati sul post precedente: dopo che il capitano, abbandonata la propria nave ed il destino dei passeggeri in balìa di buio ed onde, probabilmente rifiutandosi di ammettere la propria incapacità di gestire una situazione ormai disperata, appare la figura di quello che viene osannato come eroe ma per me non lo è, ed infatti anche lui lo ammette qui.
A distanza di qualche giorno, mi capita di leggere un altro articolo di stampa che potete vedere qui: apparentemente non c’è un nesso logico, o forse sì…?
Ed infine, quasi a completamento di tutto quanto sopra, ieri leggo questo.
Fatta questa lunga premessa, arrivo al dunque, al medito, a tutto quello che l’insieme delle notizie mi ha portato ad interiorizzare.
Quando vengono affidate delle responsabilità, in qualsiasi campo della vita, sono sempre responsabilità in qualche modo “condivise”. Nel caso della nave naufragata c’era un capitano che ha probabilmente commesso diversi errori che non spetta a me giudicare, ma c’era anche un equipaggio, c’era (e l’abbiamo sentito) il capitano della Guardia Costiera che ha fatto il suo dovere: non poteva fare granchè, ma non è stato con le mani in mano, ha cercato di capire e di fare quello che era in suo potere in quel momento. Insomma, non si è lavato le mani.
Trasporto l’avvenimento in un ambito ecclesiale.
Ci sono comunità che dispongono di un buon capitano ed un buon equipaggio: la conoscenza ed il cammino comune portano al largo, lontano dai pericoli. Hanno una buona carta nautica nella Parola di Dio e possono intraprendere qualsiasi tipo di viaggio comune tra i pericoli quotidiani.
Ci sono comunità che invece hanno qualche carenza: magari il capitano è stanco e può avere qualche problema a reggere le varie responsabilità, magari l’equipaggio non è sempre in linea con il capitano, ha degli alti e bassi, ma li accomuna una grande passione. Hanno la Parola di Dio come carta nautica, ma hanno qualche difficoltà a far viaggiare bene la nave ed a mettere in comune un cammino. In questi casi ci vuole la persona in grado di richiamare tutti ad un corretto funzionamento delle cose.
Tradotto nel mio concreto, in quello che sento e provo.
Sono una persona laica, non sono sempre in linea con i capitani, ma ho la gioia di sentire una corresponsabilità nel portare avanti uno stile di vita che abbia come bussola il Grande Capitano. Commetto un mucchio di errori, sbaglio spesso, ma mai per superficialità o disprezzo.
Ed allora mi domando come mai è così difficile far capire che quello che a volte faccio notare non è perchè odio qualcuno, non è per maleducazione, nemmeno per insensibilità o mancanza di rispetto… pare si chiami “corresponsabilità” e sia molto simile alla “correzione fraterna”.
Ci sono due modi per vivere insieme: soffrire nel vedere la nave che affonda o abbandonarla per ultimo.
Ci sono due modi per essere uomini: aspirare ai posti migliori o vivere con responsabilità il quotidiano.
Ci sono due modi per essere cristiani: tranquillamente adagiati sulla posizione raggiunta senza mai aprirsi al confronto o ringraziare per il dono ricevuto e sporcarsi le mani a trafficarlo, a confrontarsi, disposti a cambiare rotta ogni volta che siamo scoglio per qualcuno.
In ogni caso si commettono sbagli, qualunque sia il luogo o la situazione in cui ci troviamo: non saremmo umani. Forse lo sbaglio è proprio l’elemento che ci fa capire l’importanza e la capacità di aprirsi all’amore senza limiti: quello che considera sempre l’altro più importante di me.
L’altro può pesarmi, rallentarmi, persino trascinarmi giù con sé.
E che altro sarà la Croce se non un tale inabissarsi per restituire una vita senza confini? (don Cristiano Mauri).